Partorire all’estero o partorire in Italia? Cosa è meglio? Lo abbiamo chiesto ad alcune mamme italiane. Andiamo a leggere le loro risposte.
Vivere all’estero vuol dire vivere ogni singolo momento della propria vita fuori dai confini italiani. Per una donna quindi vivere all’estero può anche comportare il fatto di partorire all’estero ed in questo articolo/intervista abbiamo voluto raccogliere le opinioni di Sara, Alice, Manuela, Federica e Roberta. Sono donne italiane che hanno deciso di partorire all’estero, di raccontare ai lettori di Viviallestero.com la loro esperienza e di farlo anche attraverso il loro libro “Mamme Italiane nel Mondo”.
Ciao a tutti, siamo delle donne (ragazze) italiane che hanno deciso di partorire all’estero. Più precisamente siamo:
termine, andavo in ospedale a giorni alterni per il monitoraggio. Avevo bisogno di sapere che andava tutto bene e sono stata tranquillizzata sulla base di visite, ecografie ed esami medici.
L’iter burocratico è stato piuttosto complesso, ho dovuto riempire molti moduli e preparare diversi documenti per informare della mia gravidanza il mio datore di lavoro, la mutuelle, l’assicurazione privata e il comune affinché potessi essere inserita nelle liste d’attesa per il nido.
Ho lavorato fino al nono mese e sono andata in maternità una settimana prima del termine. Questo l’ho trovato molto difficile. Con la pancia di 8 mesi e il bisogno di concentrarsi sul grande e imminente cambiamento, lavorare a tempo pieno è una forzatura nei confronti delle mamme.
Alice (Tokyo): Io ho partorito una volta in Italia e una volta in Giappone, per non farmi mancare niente. La prima differenza è che qui in Giappone sostengono che la gravidanza duri dieci mesi! La prima volta che l’ho sentito sono rimasta interdetta, ma ci ho pensato un attimo e ho capito che si tratta solo di un altro modo per contare le settimane di gravidanza. Quindi se una vostra amica giapponese sostiene di essere al sesto mese di gravidanza e voi non riuscite neanche a scorgere un’idea di pancia non fatele venire preoccupazioni inutili sulla grandezza del feto: è semplicemente al quinto.
Quando si resta incinte si va in comune a ritirare un libretto che si userà per tutta la gravidanza e anche durante l’infanzia del bambino: è una sorta di registro degli esami di gravidanza, del parto, e poi dello sviluppo del bambino e delle vaccinazioni. Contiene anche dei “coupon” per pagare meno alcuni esami.
La gravidanza è parecchio seguita: esami tutti i mesi e in certi periodi anche ogni due settimane. Estrema attenzione all’aumento di peso. Non si fanno gli esami per la toxoplasmosi (ma possono essere richiesti) che sono un po’ il tormentone della gravidanza in Italia. A ogni visita ti misurano la pancia. Si può partorire in un grande ospedale oppure in una piccola clinica (e sembra un po’ di stare in albergo): lo stato paga (o almeno pagava quando ho partorito io) circa tremila euro, il resto lo metti tu, e ovviamente nelle piccole cliniche si paga di più (m’hanno fatto anche il massaggio ai piedi però eh). L’allattamento al seno è molto consigliato e per quello che vedo anche molto seguito. Circa tre settimane dopo il parto è venuta a farmi visita un’ostetrica del comune per controllare la bimba, controllare me, parlare del mio umore eccetera.
Manuela (Lussemburgo): Ho vissuto la mia gravidanza in Lussemburgo, non conosco le differenze burocratiche con l’Italia. Ho scelto io il ginecologo. Andavo a visita ogni mese nel suo studio privato poi gli incontri sono aumentati notevolmente all’ottavo mese di gravidanza perché era necessario. Pagavo la fattura ed inviavo il tutto alla “casse de maladies” la quale mi rimborsava l’80% della spesa. È stato così per tutta la gravidanza…parto cesareo incluso!! Ho partorito in clinica e non ho pagato degenza. In Italia se scegli tu il tuo ginecologo privato non hai nulla rimborsato né tantomeno la clinica.
Federica (Aberdeen): Io non ho idea delle differenze fra Scozia e Italia per la gravidanza perché ho un figlio e l’ho fatto qui, però di com’è la gravidanza qui ne parlo in modo abbastanza esaustivo nel mio capitolo del libro!
Roberta (Tenerife – Fort Myers): Io ho avuto 4 figli in Italia, due in Spagna e uno in Florida. In Spagna chi lavora ha
diritto a 16 settimane di maternità in tutto quindi se si sta a casa 2 mesi prima se ne fanno solo 2 dopo. Le visite sono mensili con un’ecografia di controllo, l’approccio è molto simile a quello italiano con l’unica differenza che in Spagna ho fatto tutto tramite servizio nazionale senza pagare mentre in Italia sono dovuta ricorrere al privato poiché era molto difficile avere un appuntamento con il servizio sanitario pubblico. Ad esempio in Italia non sono riuscita a fare l’ecografia morfologica perché non ho trovato posto, in Spagna invece ho fatto gratuitamente anche l’amniocentesi.
Invece negli Stati Uniti le visite non sono frequenti, di media una ogni 3 mesi e di norma la visita consiste in analisi di urine, pressione e peso. Personalmente ho trovato il sistema americano poco accurato.
- Sara che vive a Bruxelles in Belgio e il suo bimbo è nato in questa città 6 anni fa
- Alice che vive a Tokyo in Giappone, ha due figlie ed ha partorito una volta in Italia ed una in Giappone
- Manuela che ha vissuto in Lussemburgo dove ha avuto una bimba, ora vive a Francoforte in Germania
- Federica che vive ad Aberdeen in Scozia, dove è nato suo figlio
- Roberta che ha avuto 4 figli in Italia, due in Spagna e l’ultimo a Fort Myers in Florida dove vive attualmente



Come funziona il periodo di maternità nella nazione dove vivete?
Sara (Bruxelles) Attualmente in Belgio il “congé maternité” è di 15 settimane che partono dal momento in cui si smette di lavorare. Per questo motivo le mamme lavorano fino al nono mese. Tuttavia ci sono diverse formule che permettono di prolungare la maternità o ridurre l’orario di lavoro ricevendo qualche sovvenzione quando si hanno dei figli. Io ho lavorato per 5 anni all’80%, restavo a casa il venerdì per dedicarmi interamene al mio bimbo. I nostri venerdì sono stati meravigliosi, quando era bebè passavamo intere giornate insieme, mentre tutti lavoravano. Poi, cresciuto, andavo a prenderlo alla scuola materna e andavamo al parco giochi, o a fare acquisti, a volte invitavamo gli amichetti per un pomeriggio di giochi, oppure utilizzavo il venerdì per allungare il week-end e tornare in Italia. I nostri venerdì sono stati preziosi per me e per il mio bimbo e ne conserviamo entrambi un ricordo bellissimo.
Alice (Tokyo): In realtà non lo so perché io sono una lavoratrice autonoma, ma ovviamente in Giappone è previsto, non so
però per quanti mesi e con quale percentuale di stipendio. La maggior parte delle mie amiche che sono tornate al lavoro sono state a casa un anno. Però il grosso problema del Giappone è che le donne troppo spesso al lavoro non ci tornano proprio per dedicarsi alla famiglia, e magari fare un altro figlio, e poi cercare di nuovo lavoro quando anche il secondo sarà a scuola. Le cose stanno lentamente cambiando, però questo è un problema ancora presente e purtroppo poco sentito a mio parere dalle donne stesse che lo trovano assolutamente normale.
Manuela (Lussemburgo): In Lussemburgo la maternità è come in Italia 3+2 o viceversa, hai 1 mese in più se allatti. Poi puoi scegliere il “congé parental” che consiste o in 6 mesi totalmente “off” o 1 anno a metà tempo; puoi scegliere tu quale opzione.
Federica (Aberdeen): Qui in Scozia io ho potuto prendere un anno di maternità. So che la paga governativa è bassissima tipo 20£ al mese o qualcosa del genere però le aziende possono aiutare, infatti a me hanno pagato pieno stipendio per 3 mesi e poi mezzo stipendio per i successivi 6. Ma dipende dai datori di lavoro. Comunque per legge bisogna prendere le prime 2 settimane che possono essere estese fino a 12 mesi. Qui siamo molti seguiti con i bimbi piccoli.
Roberta (Tenerife – Fort Myers): La maternità in Florida purtroppo non esiste, si lavora e basta. Alcune aziende riconoscono 3 mesi non pagati solo allo scopo di mantenere il posto, tuttavia questo dipende dal datore di lavoro.

Avete mai preso in considerazione l’idea di tornare in Italia durante la gravidanza o dopo il parto?
Sara (Bruxelles): Si, molte volte. Anzi ci penso spesso. Vorrei tornare a vivere al mare e l’Italia mi manca. Tuttavia non ho ancora trovato un’opportunità di lavoro che mi permetta di conciliare la mia vita da mamma e la mia carriera professionale in modo dignitoso. Qui a Bruxelles ho un lavoro molto impegnativo, sono Responsabile del Dipartimento Training e Customer Service in un’organizzazione internazionale e non sono discriminata perché ho una famiglia e un figlio di cui occuparmi. Posso gestire i miei orari in funzione di quelli del mio bimbo e lavorare da casa il mercoledì ad esempio, quando la scuola chiude a mezzogiorno. Certo lavoro molto ma mi godo anche la mia famiglia. Troverò un lavoro che mi permetta di mantenere lo stesso equilibrio in Italia? Lo spero!
Alice (Tokyo): Con l’attuale clima politico no.
Manuela (Lussemburgo): Fino a 2 anni fa avrei detto di sì avendo condizioni lavorative e quindi economiche adeguate e “meritocratiche”; oggi con Amélie, che ha appunto poco più di 2 anni, dico NO, cerco di offrire a mia figlia delle opportunità migliori rispetto a quelle che purtroppo offre l’Italia anche solo a livello linguistico.
Federica (Aberdeen): Tornare in Italia no, non perché non mi manchi da morire, ma perché non credo che possa offrire nulla a mio figlio. Spero di tornarci da pensionata.
Roberta (Tenerife – Fort Myers): Io non tornerei in Italia. Io e la mia famiglia abbiamo vinto la green card in USA e se tornassimo, la perderemmo. Inoltre voglio che i miei figli crescano con una mentalità aperta (che in Italia non trovo più) e con la possibilità di un futuro meritocratico. Qui stiamo bene e siamo contenti.
Potete acquistare il libro “Mamme Italiane nel Mondo” attraverso questi canali:

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