La paura di trasferirsi all’estero è arrivata puntuale. Ecco, sapevo che sarebbe arrivato lui, il momento del “ma che cavolo sto facendo”? Anzi, a dire il vero è venuto spesso a farmi visita in questi giorni, taciturno ma comunque presente. Per certi versi, come dargli torto: le mie uniche sicurezze, al momento, restano un codice Ryanair ed una prenotazione su Hostelworld. Un volo di sola andata ed un tetto che mi proteggerà dal freddo soltanto per alcuni giorni.

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La mia paura di lanciarsi

E dopo? Beh sì, la mia paura di lanciarsi è anche dovuta anche al fatto che, dopo, la strada sarà tutta in salita: trovare una sistemazione più adeguata, saper scegliere il supermercato più assortito, trovare un buon ristorante italiano, imparare a memoria la mappa della metro, abituarsi alla temperatura sotto lo zero … eh già, aspetti che a me importano davvero poco ma che per alcuni costituiscono motivo di ansia e agitazione, da riversare su di me che ho una strada in salita ancora più dura da percorrere: cercare di mettere insieme i pezzi di un nuovo puzzle altrove, dove la mia lingua sarà una boccata d’aria quando avrò voglia di sentirmi nuovamente a casa, dove gli oggetti, i profumi, i sapori hanno un’altra identità che dovrò imparare a conoscere, apprezzare e fare mia, quasi come fosse un abito.

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Ma che cavolo sto facendo? Mi sto allontanando dalle mie autentiche certezze? Sì, proprio così. Sarà follia? Leggerezza? Io la chiamo vita e penso che la vita non vada attesa e scrutata silenziosamente da lontano, aspettando che sia lei ad avvicinarsi a noi come se tutto fosse dovuto. Va ascoltata fino in fondo, anche quando ci mette di fronte a scelte difficili, come quella di progettare un futuro oltreconfine.

Ecco, sapevo che sarebbe arrivato il momento del “ma che cavolo sto facendo?” a bussare alla mia porta. Ma stavolta ho deciso di non aprire.