Una vita in viaggio: benedizione o maledizione? Nessuno spiega mai quali sono i lati negativi del viaggiare per lavoro.

Avrei voluto essere una persona diversa; una di quelle persone molto semplici che riesci a capire solamente con una singola occhiata.

Avrei voluto essere una persona che si accontenta di poco, delle piccole gioie familiari, di una piccola casa in periferia, di un lavoro stabile.

Avrei voluto essere una persona in grado di amare il suo uomo più di se stessa, più delle sue aspirazioni, più della sua libertà.

Avrei voluto.

Forse in un’altra vita sarò cosi o forse no, perché un’anima come la mia non la scrolli via di dosso così facilmente, rimane attaccata, ancorata ai suoi ideali, ai suoi desideri. Quindi, con molta probabilità, anche nella prossima vita mi ritroverei uguale ad ora. Bella fortuna essere cosi, eh!

Viaggiare lavorando

Viaggiare lavorando è stata la mia benedizione e la mia maledizione allo stesso tempo. Molte volte mi chiedo come sarei stata se non fossi mai partita, la prima volta, per lavoro, mi domando se avrei mai conosciuto l’emozione incontrollata davanti ad un biglietto “solo andata”, l’angoscia e il senso di incompletezza, al rientro, che mi sono cosi familiari.

Tante persone vorrebbero fare la mia vita, essere in grado di partire per mesi o anni senza tanti problemi.

<<Sei fortunata te, hai il mondo tra le mani e sei abituata a lasciare tutto e partire alla ricerca di una nuova avventura.>>

“Abituata”.

Abituata a cosa?

Non posso abituarmi a qualcosa che non ho mai avuto, il senso di appagamento, sentirmi completa in un unico posto.

Delle volte, quando mi dicono cosi, penso il contrario.

<<Sei fortunato te, non io!>>

Avrei voglia di rispondere cosi, ma come sempre rimango in silenzio e sorrido annuendo.

Non mi capirebbero, l’ho già detto. Io non sono una di quelle persone che ti basta guardare per poter intuire cosa pensano o cosa hanno dentro.

La mia vita è entusiasmante, non ci si annoia mai, quello è poco ma sicuro.

Ma, arriva sempre, il momento in cui rallenti un po’.

Lo zaino pesa troppo sulle spalle, il borsone da viaggio è ingombrante e non ti permette di camminare dritto, il viso è abbronzato e screpolato, i tuoi piedi sono rovinati perché hai tentato di camminare su degli scogli troppo appuntiti e in aeroporto non c’è anima viva, sono le 4 del mattino e solamente te, anima viaggiatrice, parti a quell’ora improponibile.

Le prime volte in aeroporto arrivavo con una carovana di persone: amici, famiglia, fidanzato; adesso sono sola. Io, il mio computer, uno smartphone con cui non posso collegarmi alla rete dati, perché ho ancora la scheda italiana  e mi costerebbe un patrimonio, e un libro letto a metà.

Ho sempre pensato che questo significasse “libertà”, avere pieno controllo sulla mia vita, sul posto dove andare e di non avere bisogno di nessuno. Mi sentivo invincibile, una supereroina che fa’ ciò che tutti hanno paura di fare. Partire da sola.

Adesso, a distanza di quasi 5 anni, delle volte mi soffermo a guardare il cielo, soprattutto quando c’è la luna piena, e mi ritrovo a pensare a me stessa prima dell’inizio di questa vita.

Non so spiegarvi come o perché, mi sembra di aver vissuto più di una vita e per ognuna di esse c’era una Jessica diversa che adesso stento a riconoscere.

Ma, quando mi soffermo a guardare il cielo, mi sembra di vederle tutte.

Tutte le persone che sono stata nelle mie “avventure” in questa mia vita infinita e variegata. E penso che non potrò mai pentirmi della mia scelta di partire, nonostante ci siano alcuni giorni più malinconici di altri.

Vedo la Jessica prima del viaggio, un’adolescente con un amore infinito per i libri. Riuscivo a leggerne anche due al giorno. Internet non era alla portata di tutti,  come adesso, ed il mio mondo “social” era all’interno del romanzo di turno e della pagina di Word che, di volta in volta, riempivo con le mie emozioni, con il mio senso di malinconia, anche circondata da tutti gli amici che ho sempre avuto.

Avevo un fidanzato, forse per lo standard dei miei 18 anni lo amavo con tutto il cuore, come solo le adolescenti innamorate possono fare.

Quel sentimento puro, incondizionato che provi una volta sola nella vita fino a quando non viene macchiato, sporcato, deturpato dalla vita e ne esci fuori distrutta, inaridita come il deserto del Sahara.

Il primo vero amore non si scorda mai, dicono, ma anche la prima delusione d’amore fatichi a metterla nel dimenticatoio.

Alla fine di quella relazione, dopo diversi anni, era iniziata la mia seconda vita. Ero una persona completamente diversa, autodistruttiva in ogni rapporto umano, rifiutavo e rigettavo ogni forma artistica ed umana.

I miei scritti mi facevano vomitare.

Scrivevo ed eliminavo.

Più le persone mi amavano e più io li odiavo.

Come ho sempre detto, è stata la fotografia turistica a salvarmi, a donarmi di nuovo un’anima e regalarmi la mia terza vita.

Sono rifiorita come un fiore di pesco in Primavera, la mia creatività è tornata a trovarmi e mi ha abbracciato forte senza mai allontanarsi da me.

La mia terza vita è iniziata con un biglietto solo andata per Zanzibar, una valigia rosa piena di scritte dei miei amici e delle persone che amavo, tante lacrime e sorrisi poco prima della partenza e un aeroporto gremito di parenti ed amici.

Ricordo di aver pensato che 9 mesi sarebbero stati un’eternità e che sarebbe stata veramente dura vivere un’avventura del genere da sola, senza nessun appoggio, senza nessun caro amico che mi conoscesse in tutte le mie sfaccettature.

Tutto ció che mi aveva fatto compagnia durante le 10 ore di volo era stata l’ansia, l’agitazione, l’emozione e un pizzico di paura. Era la seconda volta che prendevo un aereo e in assoluto la prima volta che affrontavo un viaggio in solitudine. Ero, senza dubbio, orgogliosa di me stessa ma nello stesso tempo faticavo nel vedermi affrontare le sfide di tutti i giorni senza nessuna persona cara al mio fianco.

Zanzibar ha rappresentato per me una sorta di “rito d’iniziazione al viaggio”, l’inizio della mia felicità ma, anche,  della “maledizione dell’anima vagabonda” alla ricerca di qualcosa che, forse, non esiste.

Un inconveniente del viaggiare è rappresentato proprio dal fatto che, inizialmente, si parte per conoscere posti, culture e persone nuove. Ma al ritorno ci accorgiamo che, ad ogni viaggio, lasciamo un pezzetto di noi in quel luogo e ritorniamo a casa, ogni volta, diversi da come siamo partiti.

Dopo diverso tempo ti rendi conto che non viaggi più per conoscere ma per trovare.

Trovare quella parte mancante di cui senti il bisogno.

Trovare un posto che non ti faccia più venire l’idea di mollare tutto ed iniziare da capo altrove.

Trovare un luogo che possa accoglierti tra le sue braccia e che tu senta come “casa”, per ritornare a viaggiare solamente per conoscere. Perché oramai sei completa.

“Liberi di andare ovunque, ma mai liberi di potersi fermare.”

(L’ombra del vento)

Jessica