Lauree, stage su stage, esperienze all’estero, esperienze in vari settori, formazione continua, aggiornamento, pratica di qua e pratica di là, dal Sud ci si trasferisce al Nord, poi dal Nord all’estero. Non è più chiaro quale sia la migliore carta da giocare in Italia per proporsi al mondo del lavoro. Serve tutto questo, insieme alla pretesa di dover essere contemporaneamente giovanissimi.
E’ richiesta flessibilità e poi invece questa, nella realtà, rema contro perché letta come instabilità, incapacità di adattamento (quando, possibilmente, una persona ha dovuto costantemente cambiare lavoro perché è scaduto il contratto e non perché lo abbia lasciato volontariamente). Allora si studia come creare un buon CV, sia nella forma che nei contenuti, un’ampia letteratura spiega come ci si debba comportare durante un colloquio, cosa dire e cosa non dire, cosa fare e cosa non fare. Spesso manca l’opportunità o quelle rare volte in cui questa si presenta, chissà perché manca comunque un quid, quel fattore X, chiamatelo come volete.
Selezioni per lavorare all’estero
Cosa fare allora? Si prende in considerazione l’idea di aprire più porte (a proposito, mi è sempre piaciuto il proverbio “chiusa una porta, si apre un portone”), in fondo perché accanirsi sempre sulla stessa cosa? E’ giusto provarci e riprovarci ma intanto si può anche guardare altrove, il mondo ci è stato donato per questo o no? Anzi, forse aver fatto sempre e solo la stessa cosa nella propria vita può precludere diverse opportunità di cambiamento.
Allora una mattina, una come tante altre, navigando sul web prendi un’azienda a caso, ne leggi la storia, la mission, i valori aziendali, le opportunità che offre. Ti piace, ti ritrovi nel suo spirito aziendale, addirittura scopri di nutrire curiosità per un settore di cui fino a quel momento poco t’importava o comunque non rientrava nel tuo percorso precedente. Lasciare perdere perché tanto non chiameranno mai visto che non si ha esperienza nel settore, o provarci comunque e trasformare la mancanza di expertise in occasione per apprendere qualcosa di nuovo (e soprattutto far capire quest’ultimo aspetto ai recruiters)? Il segreto sta sempre nel bicchiere mezzo pieno.
Decidi di provarci, sia per un ruolo in Italia che in due nazioni all’estero, di sicuro non sono destinazioni ambite come possono essere Londra, Berlino o Barcellona, ma sono nazioni di cui conosci soltanto il nome della capitale e con quali altre nazioni confini. Mancanza di interesse? No, provarci senza porsi troppe barriere mentali. Se andrà, ci si organizzerà in un secondo momento.
Mandi quindi tre email, ancora una volta riponendo tanta speranza come fai sempre, incrociando l’incrociabile!
Risultato? Dall’Italia nessun feedback, né un grazie per l’interesse o frasi standard simili. Silenzio. Da una delle due nazioni oltreconfine arriva una risposta dopo 24h: “Ciao e grazie per l’interesse nella nostra azienda. Verrai ricontattato nelle prossime ore da un responsabile delle risorse umane per fissare un colloquio telefonico”.
La comunicazione arriva davvero dopo pochissime ore e con molta cortesia mi viene chiesto a che ora dell’indomani fossi stata disponibile per il colloquio. Cioè, pur leggendo dal cv che mi trovassi in Italia, questo non costituiva un problema…quando, invece, in Italia stessa è capitato che un migliaio di km di distanza e la possibilità di raggiungere la sede del colloquio in due ore circa di aereo, costituissero motivo d’esclusione d’emblée.
La telefonata arriva con un quarto d’ora di anticipo…un imprevisto? No, era già un modo per mettermi alla prova, il responsabile mi fa persino i complimenti per non essermi lamentata del fatto che non avesse rispettato l’orario fissato e che fossi pronta. Mi sentivo un po’ così, stupita. Non avevo ancora aperto bocca e mi stava già valutando.
Bisogna farsi trovare pronti!
Ti sei preparata come avresti fatto per un colloquio in Italia e lì arriva il bello, non è servito a niente. Pochissime domande ma dirette ed efficaci: che lingue parli? Ultimo ruolo svolto? Sei disposta a trasferirti? Che stipendio desidereresti? In Italia si sa, spesso si lavora per la gloria e parlare di stipendio è tabù.
Senza troppi giri di parole, senza il pregiudizio dell’età o dell’aver fatto esperienze professionali diverse. Un colloquio incentrato sul COSA SAI FARE?
Non giustifico al 100% il fatto che spesso all’estero il titolo di studio passi in secondo piano nella valutazione di determinati profili professionali. Rimango piuttosto basita del fatto, evidentemente contraddittorio, che in Italia, alla richiesta di personale specializzato e “laurea munito” non corrisponda poi una sua valorizzazione sul lavoro. Non so voi ma io una risposta non ce l’ho!
Penso che l’aspetto più motivante del confronto con la quotidianità e la cultura di un nazione diversa dalla propria (il colloquio di lavoro ne è soltanto un esempio) non è tanto il buttare giù dalla torre ciò che non piace del proprio Paese e lamentarsi rimanendo passivi, quanto piuttosto proporre degli spunti su cui riflettere e credere che dagli altri si possa sempre imparare qualcosa di buono, da portare a casa e condividere.