L’artista siracusano Gianni Bonincontro, a Londra da 20 anni, ci da una dritta sul mangiare bene. A Londra naturalmente.
Quando nel 1989 arrivai a Londra con un’ottima conoscenza pratica dell’arte culinaria italiana in generale, dalla prima colazione a base di cornetti e brioches con relative creme, dalle granite ai gelati, dalla rosticceria con i suoi calzoni, gli arancini, le pizzette e la pizza al taglio, la pasta al forno e le lasagne, fino ad arrivare alla vera e propria cucina del classico ristorante, antipasto, primi, secondi piatti, dolce e frutta il tutto innaffiato da…mi resi conto, andando a lavorare come secondo chef in uno dei tanti rinomati ristoranti italiani di Londra, che solo una minima parte di ciò che avevo imparato e praticato tra i diversi laboratori di pasticceria e ristoranti in Italia, veniva ancora rispettato in base alle norme culinarie-culturali del nostro paese.
Ma non voglio soffermarmi a 20 anni fa ma fare un percorso con i lettori e arrivare ai giorni nostri. Un percorso che io ho fatto giorno dopo giorno per giungere ad una triste conclusione. La più grande comunità straniera a Londra è quella del continente indiano che comprende oltre all’India, il Pakistan e il Bangladesh con quasi un milione di abitanti, seguita dai 300.000 della comunità cinese, queste due comunità assieme a quella africana e mediorientale sono quelle più dedite a qualsiasi attività commerciale compresa la ristorazione, mentre la comunità italiana non arriva a superare la soglia di 50.000 abitanti, eppure se aprite le pagine gialle di Londra, il numero dei ristoranti italiani è quello più numeroso e questo è dovuto sopratutto al fatto che oggi chiunque può aprire un ristorante italiano senza che ci sia una minima forma di tutela da parte degli enti responsabili come succede, per esempio, nei riguardi dei ristoranti francesi e della loro cultura culinaria.
Girando per Londra, sia al centro che verso le periferie, è facile trovare in ogni angolo di strada, ristoranti con i più classici, ma anche con i più impensabili nomi italiani che per ovvie ragioni non vado a menzionare, con tanto di tricolore, molte volte esposto anche in modo errato, e attirare così l’attenzione di tutti quegli ignari e affamati turisti italiani e non, a gustare le prelibate pietanze del loro menù.
Anni ed anni fa, chi veniva a Londra e apriva un ristorante italiano era sopratutto quell’italiano innamorato prima del paese che aveva
dovuto lasciarsi alle spalle e secondo perchè sostanzialmente aveva la passione per la cucina italiana ed il gusto di trasmettere ad un popolo come gli inglesi, i sapori della propria terra. Il ristorante negli anni si tramandava da padre in figlio diventando così una vittoria e una testimonianza del passato rivolta verso il futuro. Oggi purtroppo la nuova generazione, figlia di coloro che tra un inglese mai imparato alla perfezione e il vanto di mandare avanti un attività in un paese straniero, è diventata figlia adottiva dell’informatica, dei fast food, delle vacanze ai tropici e con l’Italia ha un rapporto sempre più blando anche se rimane radicata a certi concetti e preconcetti tutti italiani e allora, chi con orgoglio aveva per anni mandato avanti un ristorante italiano a Londra, si è visto costretto per forza maggiore a vendere. Potrei terminare qui e augurare buon appetito a tutti ma ora viene il bello di tutta questa premessa.
Quando si mette in vendita una qualsiasi attività commerciale, chiunque si fa’ avanti è ben accetto, ma se sul mercato si mette in vendita un ristorante italiano, si presume e si spera che ad acquistarlo sia un italiano in modo da mandare avanti nel migliore dei modi una tradizione culinaria conosciuta da anni in tutto il mondo. Purtroppo nella maggior parte dei casi non è sempre così e allora a comprare sono mediorientali, russi, americani che conoscono la cucina italiana solo per averla gustata e acquistano solo perchè guidati più da un avidità commerciale che da un vero e proprio amore per tale cucina. Tutto questo è anche dovuto al fatto che molte grandi compagnie hanno sfruttato il nome “Italia” per le loro catene di ristoranti senza avere il minimo rispetto delle nostre tradizioni e cultura culinaria, quindi in questi locali è cosa comune trovare sui loro menù, una bolognese vegetariana o una carbonara con i gamberetti, una pizza margherita con un aspetto più da girasole o un insalata mista ricoperta da una bella grattugiata di parmigiano di dubbia provenienza.
Tutta questa confusione purtroppo va a discapito di quei veri, pochi e originali ristoranti italiani che ancora sopravvivono nel grande territorio londinese e oltre, offrendo ai loro clienti ciò che i loro padri gli hanno lasciato in eredità, le radici di una arte che dovrebbe essere solo e tutta italiana. Fortunatamente oltre a non sapere cucinare in italiano, questi nuovi pirati gastronomici, non sanno neanche scrivere in italiano e quindi è facile riconoscerli visto che sui loro menù la grammatica italiana lascia a desiderare tanto quanto il sapore delle loro alchimie. Detto questo non posso che augurarvi una buona vacanza a Londra e se proprio non potete fare a meno di un buon piatto di spaghetti…occhio alla grammatica italiana.
Gianni Bonincontro