Ecco a voi una delle interviste più interessanti che abbiamo mai pubblicato nel nostro sito. Abbiamo avuto il piacere di parlare con Elisabetta, italiana che ha deciso di abbandonare l’Italia ed il suo posto fisso per cercare la felicità che la certezza del lavoro non le dava. E’ stata una pazza a lasciare qualcosa di concreto per inseguire la felicità oppure è più pazzo chi si accontenta sapendo che non sarà mai felice? A voi l’ardua decisione, ma prima leggete la sua intervista.
Ciao Elisabetta, è veramente un piacere parlare con te. Ci spieghi il motivo per cui hai lasciato l’Italia?
Non ne potevo più del posto fisso: qualche anno fa sono entrata di ruolo nella scuola pubblica italiana, un sogno per molti ma non per me. Ho sempre viaggiato, lavorato nella cooperazione internazionale in Albania, fatto volontariato in Africa e Asia: tornare in Italia tra le mura di una scuola è stato ingabbiarmi in una career cage dorata (spesso di latta) che mal si adattava alla mia personalità. Spesso di fanno scelte basate sulla paura: di fallire, di affrontare l’ignoto, di non trovare poi nulla (e quindi perdere anche quel poco che si ha), di deludere la famiglia che si aspetta altro da te e continua a dirti “Ringrazia e accontentati!”. Il segreto è ascoltarsi: se il tuo cuore e il tuo corpo ti dicono di partire, bisogna avere il coraggio di rompere le regole e fare la valigia, affrontando tutti i rischi. A un certo punto è necessario smettere di pensare e cominciare ad agire.
Di che città sei?
Io sono di Torino, di un paese di provincia in cui è facile sentirsi chiusi da mentalità ristrette, vite sempre uguali, opportunità lavorative scarse e poco stimolanti.
E quando hai lasciato l’Italia avevi già un lavoro o sei partita all’avanscoperta?
Sono tuttora un’insegnante di ruolo di scuola primaria. Ho lasciato l’Italia 10 mesi fa prendendo un’aspettativa (la seconda) per motivi personali, ma senza avere alcun contatto (o contratto) lavorativo all’estero. Ho risparmiato per un anno, in modo da potermi permettere di non lavorare per alcuni mesi e viaggiare – ovviamente in paesi economici – cercando lavori in viaggio. Ho sfidato il destino, fiduciosa che quando si decide di dare una svolta alla propria vita e si fa un primo passo, poi le opportunità arrivano. In ogni caso, ero talmente stanca del mio lavoro in Italia, che avrei pure dormito sotto un ponte.
Come ti sei organizzata? Conoscevi qualcuno? Hai vissuto i primi giorni in ostello? Come ti sei mossa appena arrivata?
Il mio punto di partenza è stata la Cambogia: due anni fa avevo fatto un’esperienza di volontariato di 8 mesi a Phnom Penh, e per un anno ho coltivato l’idea di tornarci e cercare un lavoro là in ambito educativo o presso una organizzazione non governativa. Infatti, ho compiuto ricerche già a distanza su alcuni siti cambogiani di annunci lavorativi, per farmi un’idea di ciò che il mercato poteva offrirmi. Le prime settimane sono stata ospitata dalle suore della missione cattolica in cui avevo insegnato due anni fa. Dopo pochi giorni, però, mi sono resa conto che lavorare fissa in Cambogia non era in effetti il meglio per me: ciò che avevo sognato a distanza non rispecchiava, in realtà, ciò che desideravo davvero: viaggiare, conoscere, fotografare e scrivere. Mi sembrava tutto uguale. E così ho subito cominciato a compiere ricerche su internet per trovare un lavoro da insegnante (di italiano o inglese) altrove, ma sempre in Asia.
Casualmente sono incappata in un sito di annunci di Pechino, e nel giro di una settimana mi sono ritrovata a Hanoi a richiedere un visto per la Cina. La mia esperienza cinese è però stata di soli due mesi: ero di nuovo finita nella trappola del lavoro fisso, con un contratto (rinnovabile) per l’intera durata della mia aspettativa, in una scuola isolata di periferia, e stavo peggio che in Italia. Per fortuna, viaggiando, ho imparato ad ascoltarmi: ero finita in quella trappola per paura che sarei morta di fame, che non avrei trovato nulla e sarei dovuta tornare in Italia con la coda tra le gambe. Da lì alla fuga il passo è stato breve, e così, con i soldi guadagnati, sono approdata in Myanmar a fare un corso gratuito di meditazione vipassana, e poi ho affittato un bungalow nel sud della Thailandia per 5 settimane, isolandomi dal mondo per realizzare un sogno: creare il mio blog personale di viaggio: http://www.toohappytobehomesick.com
Una domanda che credo in molti ti hanno già posto, perché hai scelto l’Oman?
L’idea di rimanere in Thailandia non mi affascinava, la trovavo poco stimolante per la mia scrittura. Così, quando un’amica iraniana conosciuta in Cina mi ha invitata a Tehran per Natale, ho sentito che avrei di nuovo dovuto fare la valigia. Un’amica di Torino, che fa la guida turistica in Oman, mi ha detto di raggiungerla a Muscat prima di recarmi in Iran, e così ho fatto. Il Medio Oriente mi aveva sempre affascinata, ma l’Oman era troppo diverso dal Sud-Est Asiatico per apprezzarlo: è stato uno shock culturale non indifferente. Avevo deciso quindi di andare in Iran, tornare in Oman e poi rimettermi in viaggio, probabilmente per la Malesia. A quel punto il destino ha deciso per me: ho cominciato a lavorare in Oman come guida per gli italiani che approdavano qui con le crociere, e sono rimasta. Tuttora sto portando i turisti alla scoperta dell’Oman. La vita è proprio strana! Tra pochi mesi la mia aspettativa scadrà, e dovrò prendere una decisione non facile, ma credo che tornare alla vita di prima sarà impossibile: una volta assaporata la libertà, chi vorrebbe tornare in gabbia? Comunque, non è detto che poi tornerei in Oman: una volta aperta una porta, altre se ne aprono, se si sta facendo ciò che si ama.
Com’era il tuo inglese prima di partire?
Il mio inglese era a un livello intermedio-avanzato, ma ancora con molte lacune nell’ascolto e nel parlato. Così, l’anno prima di prendermi questa aspettativa, ho seguito un corso individuale per prepararmi a passare l’esame Proficiency di Cambridge. L’esame non era però il mio obiettivo, ma una spinta a studiare: in realtà, volevo disperatamente portare la mia conoscenza dell’inglese a un livello superiore, che mi permettesse di cercare migliori opportunità lavorative, di comunicare con scioltezza, e anche di capire i madrelingua (e non) con i loro accenti diversi. Impresa non facile, ma con impegno ed esercizio ho raggiunto il mio obiettivo.
Quali secondo te sono gli aspetti positivi, nel settore lavorativo e nella tua vita privata, che qui trovi mentre in Italia no?
Il Sultanato dell’Oman è un paese tranquillo in cui si sta bene, e con un bassissimo tasso di criminalità. Il settore lavorativo è più stimolante che in Italia perché l’Oman è un paese in costruzione e in forte crescita. L’aspetto che più colpisce, lavorando qui, è l’attenzione alla persona e non al suo ruolo: dall’esperienza avuta finora, seppur breve, posso dire che è difficile che ci si calpesti, che si viva solo per sé: la generosità, qui, è una costante. La vita sociale non è però sempre facile, in quanto non ci sono tutti gli svaghi, culturali e non, presenti in Europa, e la mentalità è diversa dalla nostra. Ci vogliono spirito di adattamento e senso dell’umorismo.
Cosa ti manca dell’Italia?
Il cielo cristallino che c’è a Torino in primavera, e il profumo dei fiori e dell’erba tagliata: qui in Oman il cielo è sempre uguale, azzurro e molto rilassante, ma l’aria non è fresca e profumata, e poi il clima è quasi sempre lo stesso, caldo e secco, con poche variazioni. Tutto il resto non mi manca affatto: io sono nata per viaggiare.
Il mio consiglio: abbiate il coraggio di essere voi stessi e, se quello che volete fare è andare a vivere all’estero, provateci. E’ sempre meglio averci provato, piuttosto che vivere col rimpianto di non averlo fatto. Se hai un sogno, non aspettare.
Bhe che dire…non possiamo fare altro che ringraziarti per il tempo che ci hai concesso. In bocca al lupo per tutto!!!