Chi si accontenta gode, quante volte ci siamo sentiti dire questa frase. La verità per me invece è chi si accontenta gode solo a metà. Molti ragazzi (e non), oramai, si accontentano di una situazione che non li soddisfa, rassegnandosi al “di più non posso avere”. E allora ci chiediamo se sia giusto accontentarsi di quel poco che la vita ci regala o é meglio rischiare il tutto per tutto e cercare di esaudire i propri sogni. Per la serie “chi si accontenta gode solo a metà”.
Tornava sorridente e felice dai suoi campi, dopo lunghe ore trascorse tra i suoi alberi, i suoi frutti, la sua terra! Un albero piantato alla nascita di ciascun nipote. Mai un “sono stanco”. Tutti i giorni nei suoi occhi leggevo serenità e gioia di vivere ma soprattutto tanto tanto amore per il suo lavoro, un lavoro duro imparato da piccolo, diventato poi la più grande passione della sua vita.
Un uomo qualunque, un uomo speciale. Che ha sempre lottato per fare ciò che più lo facesse stare bene, senza riempire le sue giornate di lamentele che gli avrebbero soltanto consumato energia preziosa o che lo avrebbero fatto sentire in guerra con il mondo intero! Un uomo che non sprecava un solo minuto della sua vita ma al contrario sapeva gustare intensamente ogni suo respiro.
Lavoro, famiglia, amici, lavoro, famiglia, amici: viveva per questo ed era felice! Mi insegnava che ci sono momenti nella vita in cui diventa necessario mettere da parte le proprie ambizioni e sapersi adattare ad una quotidianità lavorativa che probabilmente non ci soddisfa completamente ma che arricchisce comunque la nostra vita. “Il tempo non vissuto è tempo sprecato”, così mi diceva sempre. E aggiungeva che, adattarsi non significa perdere di vista i propri obiettivi; questi devono seguirci sempre, devono essere la nostra ragione di vita e su di essi dobbiamo investire tutto l’amore che custodiamo dentro e che ci servirà a raggiungerli! Mai smettere di cercare!
E invece oggi sono circondata da gente insoddisfatta (e in parte lo sono anch’io), che si sveglia al mattino di malumore, sapendo che dovrà trascorrere un terzo della giornata facendo un lavoro inappagante, poco retribuito o addirittura non retribuito! La chiamerei la generazione del “meglio di niente”.
Meglio di niente. La magra consolazione alla quale non resta che appigliarsi se si vuol rimanere in Italia, in una realtà che stenta a migliorare, almeno per il momento.
Meglio di niente. Il ritornello pronunciato da quei genitori che apparentemente si mostrano orgogliosi per il lavoro (mi correggo, lavoretto!) svolto dai propri figli, i quali invece nascondono dentro una profonda amarezza.
Meglio di niente. Otto ore di lavoro giornaliere retribuite 500€ lordi mensili (quando si è fortunati!).
Meglio di niente. Fare un lavoro che non piace, che non regala una soddisfazione né fa sentire gratificati.
Meglio di niente. Essere riconoscenti nei confronti del poco perché è pur sempre meglio di niente!
Meglio di niente. Non avere più bisogno della paghetta dei propri genitori per andare a cena fuori con gli amici.
Meglio di niente. Fare tutt’altro e buttare anni di studio al vento!
Meglio di niente. Una frase, una “prigione”. L’autoconvinzione che in fondo vada bene così. Dopotutto, il segreto sta nel sapersi accontentare, no?
Meglio di niente è precludersi l’opportunità di vivere una vita migliore e più felice.